Nel corso di una visita all'Accademia dell’Integrazione io e altri miei compagni abbiamo avuto il piacere di conoscere alcuni dei ragazzi che partecipano a questo progetto. Abbiamo avuto, inoltre, la possibilità di intervistarli e porre loro qualche domanda sulla loro storia e sulle loro impressioni riguardo l’Italia.

La storia, l’intelligenza e la personalità di uno di loro mi ha colpita particolarmente.

Il suo nome è Radamisar Kahn, ha 38 anni e proviene da un piccolo villaggio di montagna nella provincia di Chitral che si trova in Pakistan nella regione del Peshawar al confine con l’ Afghanistan : il fatto che provenga da questo posto ha influito sulla sua decisione di partire. È venuto da solo in Italia, lasciando nel suo paese la moglie e le due figlie di 4 e 7 anni.

Riporto qua sotto qualche domanda gli abbiamo fatto  e alla quale egli, nonostante sia difficile ricordare il passato e le brutte esperienze vissute, ha risposto con grande disponibilità grazie anche alla sua buona conoscenza della lingua italiana, decisamente superiore a quella degli altri intervistati.

In che anno sei andato via dal tuo paese? E per quale motivo?

-Sono partito improvvisamente la notte del 12 aprile del 2013. Nella prima parte della mia vita mi sono laureato in teologia islamica e in letteratura inglese, ho fatto la guida turistica e ho insegnato inglese;  quando ho iniziato ad appassionarmi alla scienza e, soprattutto, alla teoria di Darwin sull’evoluzione, ho capito che ciò che diceva il Corano e la religione era falso, così sono diventato ateo. Nel frattempo c’è stato l’11 settembre: nella mia regione i turisti stranieri sono incominciati a scarseggiare, sono arrivati i Talebani e la situazione per chi mette in dubbio alcuni principi della  religione islamica è diventata rischiosa.

Io ho rischiato di essere linciato per aver detto in classe ad un bambino che chiedeva un commento sul matrimonio di Maometto cinquantenne con Aisha,  una bambina di sei anni che queste cose avvenivano in tempi bui, mentre negli anni 2000 la legge non lo permetterebbe più.

In realtà una vicenda simile era accaduta alla mia famiglia quando il mullah della mia città, una volta morta sua moglie, aveva chiesto la mano di mia sorella di vent’anni meno di lui e noi familiari avevamo rifiutato.

Il giorno dopo la mia lezione sono stato chiamato dal mullah, sostenuto da alcuni dei miei compaesani, e sottoposto ad una sorta di processo con l’accusa di blasfemia. Dato che la situazione per me stava diventando sempre più pericolosa, i miei familiari e i miei amici mi hanno consigliato di allontanarmi dal paese.

Capii, grazie anche ai miei studi, che rimanere in un paese così conservatore e chiuso mentalmente sarebbe potuto diventare rischioso per me e anche per la mia famiglia e così sono partito.

Quale è stato il tuo viaggio e cosa hai dovuto affrontare?

-Il 6 maggio del 2013 ho preso un aereo dal Pakistan diretto in Libia, uno dei pochi paesi in cui potevo andare senza problemi con il mio passaporto con un volo diretto.  Sono stato lì per quasi due anni lavorando, fino a quando la situazione del paese non è peggiorata e sono dovuto scappare.

Ho però dovuto aspettare 38 giorni in un campo prima di partire. Penso che questi giorni siano stati i peggiori della mia vita, non tanto per quello che ho vissuto in prima persona - conoscendo l’inglese potevo essere utile e guadagnarmi qualcosa da mangiare - ma per quello che ho visto. C’erano molte donne, anche incinte  a seguito delle violenze subite, e bambini che non ricevevano né cibo né acqua; la notte alcune guardie ubriache venivano e prendevano delle ragazze, anche molto giovani, e persino dei bambini, che tornavano la mattina seguente piangendo, probabilmente perché erano stati stuprati.

Il 22 novembre del 2015 sono finalmente partito con un barcone di 500 persone e due giorni dopo siamo arrivati sulle coste della Sicilia. Il 26 novembre finalmente sono arrivato a Bergamo.

Attualmente che status hai in Italia?

-Due settimane fa ho ottenuto, finalmente, lo status di rifugiato politico; ciò significa che ho la protezione internazionale. L'8 settembre 2018 ho avuto la mia prima commissione e dopo la seconda commissione ho ottenuto il permesso

Hai intenzione di rimanere in Italia o di spostarti altrove?

-Certo, mi piacerebbe  rimanere qua e fare venire mia moglie e le mie figlie perché, oltre ad aver imparato piuttosto bene la vostra lingua, amo la cultura, la natura e la storia italiana. Mi piace molto studiare e ritengo che questo sia il metodo giusto per integrarsi.

Come hai conosciuto l'accademia dell'integrazione?

-Sono stato due anni al Cas di via Gleno qui dietro e nel frattempo facevo spesso volontariato, per esempio verniciavo le panchine, e studiavo italiano sia alla  Biblioteca Tiraboschi che online e anche alla UAAR (Unione degli Atei e Agnostici). Un giorno mi è stato proposto dal direttore del centro, dato che ero un uomo intraprendente e con la voglia di fare, di trasferirmi e aderire a questo progetto chiamato “Accademia dell’integrazione”. Ho accettato immediatamente dato che, come ho già detto, mi piace molto studiare.

Hai degli obbiettivi per il futuro?

-Una volta finito il percorso con l’Accademia e il corso professionale per diventare saldatore, vorrei lavorare, per un massimo di 5 anni, come operaio, guadagnare qualcosa per fare il ricongiungimento familiare e garantire  alla mia famiglia la possibilità di vivere in Italia in modo dignitoso e normale, integrandosi. Il mio sogno più grande, però è quello di intraprendere un business tra il mio paese e l’Italia, commerciando i tessuti tipici pakistani, utilizzati principalmente per fare sciarpe o foulard.

Cosa pensi degli italiani? Ritieni che siano razzisti?

Dal primo momento che sono arrivato in Italia ho capito che la maggior parte degli italiani, soprattutto i bergamaschi, sono persone molto gentili, aperte e accoglienti. Penso che siano gli immigrati a doversi adattare alla cultura del paese in cui arrivano, non tanto il contrario. Non penso che il razzismo sia esclusivo della popolazione italiana perché c’è in tutto il mondo. Più che di razzismo si tratta di diffidenza verso chi appartiene ad un’altra cultura ed è normale essere in parte diffidenti verso qualcuno che viene nel tuo  paese ed ha una cultura che non conosci e ti sembra strana.

Cosa pensi delle nuove leggi sull’immigrazione?

Penso che il decreto sicurezza di Salvini sia strano e non aiuti a migliorare la situazione degli immigrati in Italia. Ritengo, inoltre, che strutture come i Cas e i Cara non incoraggino  chi è rinchiuso in esse a fare qualcosa che potrà essere utile per il suo futuro. Ricordo che spesso vedevo persone che non facevano nulla e anzi stavano a letto tutto il giorno con il cellulare in mano: in attesa dell’accettazione della richiesta d’asilo sei come sospeso e puoi cadere in depressione pensando che potrai ottenere il diniego.

Alla fine dell’intervista, vista la disponibilità di  Radamisar al dialogo e la sua cultura, uno dei miei compagni ha scambiato con lui diverse battute sull’ateismo e su alcuni scrittori inglesi: hanno scoperto di avere delle letture e delle preferenze in comune. Quindi integrarsi in un nuovo paese e trovare passioni comuni con gli autoctoni non è impossibile.

a cura di Alice Zanotti