All’interno del nostro progetto si possono trovare diverse interviste fatte a chi ha vissuto in prima persona l’emigrazione. Per intervistare tali persone ci siamo mobilitati per trovare delle storie interessanti, ma in realtà ognuno ha qualcosa da raccontare: la maggior parte di noi può avere delle storie di migrazione della propria famiglia senza doverle cercare in qualcun altro. Proprio per questo come classe, prima di fare le interviste all’accademia e ai vari personaggi a noi sconosciuti fino a quel momento, ci siamo posti una domanda: “Chi di noi ha parenti che sono immigrati o conosce qualcuno che lo sia?”. Nella nostra piccola realtà di classe abbiamo trovato svariati esempi e persone da intervistare, dagli ex compagni ai nostri parenti più stretti.

Oggi vi racconterò la storia dei miei genitori, immigrati dal Marocco. “Amore a primo visto”:  sì, è così che ho deciso di titolare questo articolo, proprio perché i miei si sono incontrati qui in Italia, un incontro casuale che li porterà a sposarsi, avere un figlio e decidere di stanziarsi in questo paese.

Ma cosa li ha spinti a venire in Italia e rimanerci? Non mi ero mai posto questa domanda prima d’ora. Avevo dato la cosa per scontata pensando alla solita motivazione economica e non avevo mai chiesto loro come avessero raggiunto l’Italia: infatti sapevo giusto qualche dettaglio che mi avevano raccontato per pura casualità.

Oggi, per la prima volta, cercherò di scoprire ed interessarmi alle motivazioni che hanno spinto i miei a partire, al modo in cui sono arrivati e alle ragioni per le quali hanno deciso di rimanere.

Foto di famiglia fatta prima del matrimonio dei miei e di mio zio

Mamma Bouchra decide di partire per l’Europa nel giugno del 1998, quando una amica francese le invia l’ospitalità. Passano pochi mesi, per l’esattezza è l’agosto del 1998 quando dal Marocco parte lei con il suo visto e la sua volontà di non tornare più indietro. Giunge in Francia, a Parigi, dove la sua amica la attendeva. Resta da lei per una settimana, giusto il tempo di salutarla e visitare la città parigina. Decide poi di ricongiungersi con il fratello, che viveva in Italia, in quella Zingonia che ancora non aveva la fama negativa e la presenza multietnica che ha oggi. Bouchra arriva di domenica, se lo ricorda ancora: era stata accompagnata da Parigi a Ventimiglia, da quella amica alla quale deve molto e con la quale ancora oggi si sente. Qui prende il treno con meta Milano, dove Khalid, mio zio, la aspettava per portarla a casa. Caso vuole che in quel periodo mio zio avesse un coinquilino con cui divideva le spese… e proprio quest’ultimo sarà la persona con cui un anno dopo mia madre si sposerà: papà Mohcine!

Ma cosa ci faceva lui qui? Papà (“baba”)  decide di partire il maggio del 1998, con un visto di studio per la Germania e con la falsa speranza di poter studiare gratuitamente una volta arrivato lì. La Germania, che per lui rappresentava un sogno, si trasforma in un incubo: si trova da solo in un paese del quale non conosce la lingua e con un budget ristretto. Le speranze che aveva vanno in frantumi: la retta universitaria era molto alta per coloro che venivano da fuori, mentre era gratuita solo per i cittadini. Per questo, in pochi giorni, egli decise di abbandonare il sogno e raggiungere l’Italia con l’intenzione di lavorare. Aveva sentito che delle persone nordafricane si stavano stanziando a Zingonia, così decide di puntare sull’aiuto che gli avrebbero offerto i suoi connazionali. Una fra le tante persone che incontra è mio zio, con il quale andrà poi a vivere.

Questo susseguirsi di vicende porta i miei ad incontrarsi e, grazie della sanatoria uscita nel ‘98,  entrambi ottengono un permesso di soggiorno, un permesso di soggiorno che continuerà ad rinnovarsi per mio padre fino al 2011, quando otterrà quello a durata illimitata, e per mia madre fino al 2017, quando otterrà finalmente la cittadinanza. Non passa molto e tra i due si forma un’alchimia che nell’estate del 1999 li porterà a sposarsi ed avere un figlio nel 2002.

Se da giovani erano sicuri che l’Europa fosse la scelta giusta oggi non lo sono più: quella sicurezza di aver fatto la scelta corretta venendo qui va pian piano dissolvendosi. Mia madre lavora in un ristorante mentre mio padre lavora come operaio in un’azienda di verniciatura e, ora come ora, il loro sogno più grande, oltre a quello di farmi raggiungere i miei obiettivi, è quello di ritornare nel loro paese: il Marocco, per ricongiungersi con le loro famiglie. Quel sogno giovanile di venire qui oggi si è trasformato nell’esatto contrario: la nostalgia del loro paese e delle loro famiglie rimaste lì sta prendendo il sopravvento.

A cura di Imad Jtait