L’Italia è sempre stato un serbatoio di emigranti: sin dal 1880, infatti, i nostri connazionali hanno iniziato ad abbandonare il paese all’inseguimento di nuove speranze lavorative ed economiche.

Questo fenomeno ha interessato sia  il Settentrione che il Meridione, con spostamenti all’interno dell’Italia (in questo caso dal Sud al Nord  Italia) ma anche, prima, verso terre lontane come gli Stati Uniti, l’Argentina e l’Australia, o verso altri paesi d’l’Europa.

A seguito della nascita dell’Unione Europea e grazie all’accordo di Schengen, firmato il 14 giugno 1985, muoversi all’interno dell’Europa è diventato molto più semplice. In tutta Europa non sono molte le persone che si sono spostate per necessità dal loro paese in un altro, solo circa il 4% della popolazione.

Il numero di emigranti Italiani è però sempre in crescita: nel 2015, infatti, sono stati 147mila, l’8% in più rispetto all’anno precedente. Le principali mete degli emigranti italiani sono Regno Unito (17,1%), Germania (16,9%), Svizzera (11,2%) e Francia (10,6%).

Purtroppo molto spesso le persone che lasciano il paese sono neolaureati, che “fuggono” in cerca di migliori possibilità lavorative. Spesso si sente parlare di gente che lascia l’Italia per rifarsi una vita, per esempio, a Londra: gli italiani nel Regno Unito sono circa 700 000, di cui più della metà viene dalle regioni del Sud, mentre un terzo è originario del Settentrione e il resto dalle regioni del Centro.

Per quanto riguarda gli emigrati nel Regno Unito, il 66%si trova a Londra, mentre il resto si trova nelle altre grandi città inglesi.

Il secondo stato in cui si trovano più italiani è la Germania, dove vivono circa 651000 cittadini italiani e 850 000 discendenti da italiani. L’emigrazione italiana in Germania inizia già alla seconda metà del secolo scorso. Gli italiani in Germania oggi sono la seconda comunità di emigrati dopo i turchi e spesso svolgono lavori pesanti nelle industrie, metalmeccaniche e automobilistiche, e nell’edilizia.

Per la maggior parte gli italo-tedeschi sono nati in Veneto o Friuli, ma molti vengono anche dalle regioni del Sud e si sono distribuiti nelle grandi città tedesche come Monaco, Francoforte e Wolfsburg dove si trova la comunità italiana più grande. Il numero di italiani in Germania è però in diminuzione, a causa dei rimpatri e delle scarse naturalizzazioni degli immigrati post bellici. In Germania vige lo Ius Sanguinis , quindi i figli degli immigrati italiani non acquisiscono automaticamente la cittadinanza.

Molte sono le difficoltà della comunità italo-tedesca, in cui ancora oggi molti emigrati (talvolta chiamati “mangia spaghetti” o Mafiamann) hanno difficoltà a parlare correttamente il tedesco e vanno incontro a insuccessi scolastici.

In Svizzera gli italiani sono circa 543 000, ma qui l’integrazione risulta più facile vista la presenza di un intero cantone dove si parla italiano e il fatto che la lingua sia anche riconosciuta come ufficiale della confederazione. Ci sono numerose scuole Italo-svizzere nelle principali città elvetiche, finanziate sia dagli emigranti che dalla confederazione.

Inoltre, grazie ad una concessione,  gli emigranti italiani in Svizzera possono fare richiesta di cittadinanza mantenendo il passaporto italiano.

L’emigrazione in Svizzera, di cui la prima grande fase iniziò nel 1940 e finì negli anni ‘80, vede come protagonisti molti abitanti delle valli della Bergamasca, la cui vocazione al lavoro è quasi proverbiale. Non tutti gli italiani in Svizzera però si trovano bene, poiché molti sono costretti ad aspettare a lungo prima di poter lavorare, a causa dei rigidi requisiti posti dal governo elvetico, oppure si trovano a fare lavori umili, che non valorizzano le loro capacità.

Né migliore era la situazione negli anni ‘60-’70 del secolo scorso, quando i lavoratori italiani emigrati portavano illegalmente nel Paese elvetico i figli, magari nascosti nel bagagliaio dell’auto: si parla di 15-30mila bambini che vissero sepolti vivi, per anni, in cantine e soffitte, nelle periferie delle città industriali, senza la possibilità di giocare all’aria aperta, senza poter andare a scuola perché “clandestini”..

Il quarto paese per la presenza di italiani è la Francia dove si trovano circa 370 000 cittadini italiani e ben 400 000 persone con origini italiane, per un totale del 7% della popolazione.

Come accade negli altri Stati, anche qui la maggior parte degli emigranti viene dal Sud Italia ed è distribuita nelle grandi città francesi, principalmente in Provenza (Marsiglia e Nizza) e a Parigi. Pure In Francia rimangono delle discriminazioni nei confronti degli italiani ad opera di gruppi nazionalisti o in alcuni casi di lavoratori francesi.

Un caso particolare e drammatico è quello dell’emigrazione italiana in Belgio. All’indomani della seconda guerra mondiale le miniere della Vallonia, caratterizzate da strutture vecchie e pericolose erano ormai in declino e potevano sostenersi solo grazie agli aiuti di Stato. Lo stato belga quindi sigla nel 1946 un trattato con l’Italia: per ogni minatore inviato in Belgio l’Italia riceveva una quantità di carbone, necessario negli anni della ricostruzione.

Foto del disastro di Marcinelle l'8 Agosto 1956

Di fatto i lavoratori diventano una merce di scambio. In molti partono, senza conoscere le condizioni di lavoro e di alloggio cui vanno incontro: la tragedia dell’incendio nella miniera di Marcinelle l’8 agosto 1956, dove morirono 262 operai di dodici nazionalità, tra cui 136 italiani, segna la fine della partenza ufficiale dei lavoratori italiani in Belgio. Oggi la comunità italiana in Belgio è di circa 300000 persone su 10 milioni di abitanti: tra queste molti sono gli italiani funzionari presso le istituzioni dell’Unione Europea trasferitisi a Bruxelles con le loro famiglie.

In conclusione, anche noi italiani, in modo analogo a quanto accade agli immigrati in Italia oggi, abbiamo incontrato difficoltà e problemi di integrazione, dovuti soprattutto alla lingua o alla cultura differente.

Per questo non dobbiamo meravigliarci delle difficoltà, rese più aspre dalle ultime politiche di governo, con cui i nuovi immigrati in Italia devono fare i conti.

A cura di Alessandro Zanotti